Mentre l’Italia sta vivendo l’emergenza sanitaria dovuta alla pandemia di covid 19, vogliamo tracciare una panoramica della situazione nei Paesi in cui operiamo e abbiamo chiesto un aggiornamento ai nostri referenti sul campo.
Da Makati, nelle Filippine, Fr Greg ci riferisce che quanto a precauzioni e misure adottate per la protezione dal virus covid-19 la situazione non è tanto diversa da quella italiana. A fare a differenza sono i numeri di casi positivi e di decessi, di gran lunga inferiori ai numeri impressionanti dell’Italia. “Comprendiamo che ci sono più anziani in Italia, che sono più sensibili e più fragili. Ma non ci illudiamo: il virus può attaccare qualsiasi persona a qualsiasi età. Qui, nella nostra Parrocchia di San Giovanni Bosco, di cui sono parroco, stiamo aiutando moltissimo i poveri, in particolare quelli che vivono nella zona dei bassifondi, dove le famiglie vivono insieme e molto vicine tra loro. È una situazione molto pericolosa; basterebbe un solo caso covid 19 in quest’area per provocare una strage. Finora non si sono registrati contagi nella nostra area, ma l’intera città di Makati e la zona metropolitana di Manila sono sotto quarantena (non uscire di casa se non per comprare cibo o andare in banca per coloro che hanno un pass). L’ospedale del Centro medico di Makati, dove sono ricoverati oltre 50 casi positivi, è a meno di un chilometro dalla nostra parrocchia. Abbiamo convertito le nostre cappelle in dormitori per gli infermieri o per chi è in prima linea in questa lotta contro il virus. Questo è il nostro contributo come Chiesa in questa lotta contro il COVID19″.
C’è preoccupazione nel Paese su come le fasce più povere della popolazione possano sopravvivere al mese di serrata imposto sull’isola di Luzon, la più grande dell’arcipelago nonché quella che ospita la capitale Manila. La maggior parte dei 48 milioni di persone che la abitano dipende infatti da lavori giornalieri, interrotti bruscamente in seguito alla chiusura decisa dalle autorità.
Ma ci sono anche notizie che rincuorano: i ragazzi del Don Bosco Technical College di Madaluyong sono al lavoro per realizzare dispositivi di protezione individuale da distribuire alla popolazione. E il contributo dei Salesiani nella lotta al covid 19 non si limita a questo. Spiega il direttore del DBTC: “Ci sono meno di 2.000 respiratori nelle Filippine. Non basteranno quando la pandemia raggiungerà il suo picco.” Consapevole della grande necessità di ventilatori, Fr. Dimaranan ha sfidato gli ingegneri ex-alunni del DBTC sparsi in tutto il mondo a trovare rapidamente una soluzione a questo problema. “Sono molto orgoglioso dei nostri ingegneri ex-allievi di Don Bosco di tutto il mondo. Sono in procinto di produrre un prototipo di ventilatore open source. Abitano a Manila, Cebu, Singapore, Stati Uniti e altrove, ma stanno lavorando insieme per i poveri delle Filippine.”
Giulio Melani, nostro referente in Benin, ci racconta un pezzo di quotidianità a Cotonou, dove la malattia è stata “importata”, cioè è arrivata “grazie” a persone che avevano viaggiato in Paesi dove il contagio da covid19 era già diffuso e sono entrate in Benin senza osservare il periodo di quarantena imposto dalle autorità locali.
Ecco cosa ci racconta Giulio: “A dir il vero il Governo sembra aver preso ben coscienza del problema e anche della realtà e delle problematiche oggettive del paese. Chiudere tutto e far restare le persone a casa qui non è possibile. La maggior parte dei beninesi in casa non ha né frigo, né cucina, inoltre la gran parte della popolazione vive solo grazie al poco denaro che ricava nella giornata stessa: proibire di uscire è fantascienza e vorrebbe comunque dire condannarli a morir di fame. Qui i problemi non vengono mai soli…
Sono state create tre linee telefoniche di emergenza da contattare in caso di sintomi, sembra però che il servizio non sia così efficiente come il governo lo presenta.
A tutte le persone contagiate e a quelle con cui sono venute in contatto viene somministrata la clorodina, antico farmaco contro la malaria, lo stesso che viene utilizzato in Francia in questi giorni: lo scopo è quello di abbattere la carica virale e rendere le persone meno contagiose.
Bisogna sottolineare che attualmente il Paese è fornito di soli 4 respiratori e sembra che il governo sia in trattative per reperirne circa 200. Comunque, se la pandemia arriverà qui, sarà una vera crisi umanitaria di dimensioni indescrivibili.
C’è l’obbligo di circolare con mascherine nel caso si debba essere costretti a uscire. Per quel che vedo io, la quarantena è rispettata esclusivamente dagli espatriati e nemmeno da tutti.
I tribunali non fanno udienze e la maggior parte delle persone lavora da casa per quanto sia possibile. Si vola solo per poche destinazioni africane. La frontiera con la Nigeria è chiusa già da tempo per ragioni diverse dal virus mentre col Togo ancora è aperta.
Noi facciamo molta attenzione. Non si trovano già più mascherine in città e l’atelier delle Suore Figlie di Maria Ausiliatrice sta producendo una versione in tessuto.
Anche Marien Villamil Villar, referente per la Colombia di Amici di Don Bosco, ci ha voluto descrivere la situazione nel Paese: “La quarantena è obbligatoria in tutta la Colombia e ancora di più qui a Bogotá. È iniziata il 23 marzo e finirà il 24 aprile, su decreto presidenziale. In realtà, le molte necessità che obbligano tanta gente a non rispettare le restrizioni stanno mettendo a rischio loro e tutti gli altri. Non è per niente facile. A livello di Amici di Don Bosco, per fortuna, siamo riusciti a prepararci con anticipo e cerchiamo di dare risposte dalle nostre abitazioni, dove abbiamo portato i computer e i vari strumenti di lavoro. L’Icbf (Instituto colombiano de Bienestar familiar) ha fatto sapere che potevano proseguire i programmi post-adottivi e che sarebbe stata rivista la lista d’attesa. Abbiamo fatto un lavoro davvero buono con la sede centrale di Torino, oltre che con l’ufficio di Lecce. Per quanto riguarda le coppie che erano in Colombia, ora sono tutte a casa e nessun processo adottivo ha ritardato oltre il mese, mentre abbiamo dovuto rinviare la partenza di una coppia, dato che gli incontri sono stati al momento bloccati. Ma, in accordo con la sede italiana, abbiamo avviato un programma per le famiglie che non possono ancora venire qui per abbracciare i loro figli. Due volte alla settimana si inviano reciprocamente video di saluto e si mantengono in contatto”.
Fr. Noel Maddhichetty è un Amico di Amici. Amico con la “A” maiuscola, perché ci è stato vicino in momenti complicati della nostra storia. A Hyderabad, una città bellissima, dove affondano le radici di tante nostre famiglie, i ragazzi del Don Bosco Navajeevan stanno lavorando per proteggere la vita di tanti, preparando le prime 5000 maschere da distribuire a famiglie migranti e bambini per proteggerli dal covid 19. Ne saranno preparate altri in base al bisogno.
Da Ulaan Baatar Bayana Bayanjargal, la nostra referente, ci scrive che in Mongolia, anche a causa della vicinanza alla Cina, il governo ha subito preso misure restrittive molto severe. Il lockdown è stato stabilito per 3 mesi, da inizio febbraio fino al 30 aprile. Il Covid19 è arrivato in Mongolia con un uomo di affari straniero che aveva viaggiato in aree già colpite dall’epidemia e i primi contagiati sono state proprio persone che per lavoro erano state in Italia, Germania e Corea del Sud. “La popolazione è molto ligia nel rispetto delle misure di contenimento: quel che è accaduto a Wuhan ha spaventato tutti e ci ha reso molto prudenti. Sono aperti solo i supermercati per permettere alla gente di far la spesa e le farmacie. A oggi i casi confermati di COVID19 sono 16 e per ora non registriamo decessi. Il nostro sistema sanitario è sufficientemente pronto ad affrontare i casi che potranno presentarsi”.