In questi giorni di celebrazioni per onorare la memoria dei defunti il pensiero della morte ha attraversato le nostre menti con un’intensità maggiore: non a caso nel ciclo di incontri “Point Break” abbiamo scelto questo periodo per parlare di lutto come punto di rottura nelle relazioni.
Se è vero che il tema della morte richiama la finitezza di tutti gli esseri viventi e dunque sollecita la nostra umanità in senso universale, ci sono delle peculiarità, delle sfumature particolari che la perdita può evocare in chi ha un vissuto di adozione? Ce lo siamo chiesti in occasione dell’incontro del 28 ottobre scorso a cura del gruppo AAA e di Fabiana Filippi, psicologa, psicoterapeuta e docente presso IUSVE – Istituto Universitario Salesiano Venezia.
Per iniziare, si è messo l’accento sull’adultità: cosa ci definisce come adulti? Quali aspetti e condizioni caratterizzano un adulto? Indubbiamente rendersi indipendenti, costruire una relazione di coppia, avere dei figli, ma anche ricercare le proprie origini, “tra appartenenza e differenziazione”, come suggerisce Fabiana Filippi. Da cosa ci dobbiamo separare quando diventiamo adulti?
Le separazioni e i lutti come momenti di rottura dei legami possono alterare il nostro senso di identità, richiamando alla mente le domande esistenziali: chi sono io? Da dove vengo?
Il lutto rievoca il passato, le origini, le radici, ma è anche una proiezione verso il futuro, un tempo da costruire a partire da un punto zero che è la separazione, la mancanza, l’assenza.
Con la morte di una persona a cui siamo legati, infatti, muore una parte di noi. Il timore della perdita e dell’abbandono è un sentimento ancestrale , ma per una persona adottata si riallaccia all’esperienza dell’essere nuovamente lasciati soli. E chi ha un vissuto di adozione comprende bene il significato della perdita, tanto da ancorarsi fortemente a ciò che ha e a comprenderne il valore più autentico.
Quali sono state le cure che hanno accompagnato questa primigenia separazione? I genitori sono riusciti a essere “base sicura”?
Nell’elaborazione del lutto è centrale cosa ci si porta dietro e come ci si può permettere di esprimerlo. Francisca ricorda che da piccola non si permetteva di mostrare la propria tristezza per rispetto dei suoi genitori, perché non fosse un’ombra sulla dimostrazione della sua gratitudine e della sua riconoscenza.
Come può una persona adottata sentire accolto il proprio dolore? Aroti ritiene che il lutto possa diventa un punto di incontro tra genitori e figli adottivi: entrambi hanno esperienza dell’elaborazione di un lutto – quello della mancata genitorialità biologica e quello dell’abbandono – e questo può unirli.
Fabiana Filippi commenta: “Abbiamo bisogno di un’altra mente e di un altro cuore che accolga, condivida empaticamente con noi e magari ci aiuti a renderci semanticamente intellegibili i sentimenti che stiamo provando. È necessario nutrirsi di sponde relazionali capaci di far transitare il lutto in modo adeguato. Non è possibile riconoscere, comunicare e sciogliere le nostre emozioni più dirompenti al di fuori della relazione”.