Se dico “adozione”, tu a cosa pensi?
Lo abbiamo chiesto ai partecipanti a “Parole in cerchio”, un momento di incontro e di confronto tra persone adottate, operatori, genitori, figli, nonni, coppie in attesa, insegnanti, cittadini. Quali sfumature di significato ha per noi la parola “adozione”? Quali echi fa risuonare nelle persone a vario titolo coinvolte nel percorso adottivo?
Ci siamo messi in cerchio, proprio per trasmettere il senso di un dialogo tra pari, senza giudizi e senza pregiudizi. Anche se, come emerso durante l’incontro, si è preferita l’immagine dell’ellisse, luogo geometrico in cui il punto più vicino a un fuoco è quello più distante dall’altro, volendo così sottolineare la disponibilità ad accogliere un punto di vista diverso dal proprio. Abbiamo provato insieme a intrecciare parole e significati, creando una trama “una coperta che accoglie e protegge”, come è stata definita questa occasione da una dei partecipanti.
Il primo riferimento è stato al “costruire”: l’adozione come costruzione identitaria, come composizione di un puzzle dove alcune tessere sono mancanti. “Mancanza”, “assenza”, “vuoto”, “perdita”, “buchi”, “ombre” sono altre delle parole emerse per descrivere l’esperienza dal punto di vista degli adottivi. Ma anche “domanda”, intesa come capacità di interrogarsi anche quando si ha la consapevolezza che non ci siano risposte certe.
Nei racconti di molti ritornano i rimandi al “percorso”, al “cammino”, alla “strada”, a voler rimarcare che l’adozione è un processo, un divenire, un viaggio senza un traguardo, che prosegue lungo tutta la vita.
Altrettanto presenti i riferimenti alla narrazione, con “storie”, “racconti”, “vissuti”, “ascolto”, “dialogare”.
La dimensione multiforme dell’adozione è stata evidenziata con “differenze”, “diversità”, “complessità”, “integrazione”, volendo dare risalto alla capacità di “comprendere” – nel senso di includere e di capire – le molte sfaccettature di un vissuto adottivo.
Si è dedicato un accento all’accezione riflessiva di alcuni verbi, come “accogliersi”, “affidarsi”, “accompagnarsi”, “sorprendersi”, “incastrarsi” per sottolineare la reciprocità dello sguardo e l’importanza di diventare famiglia insieme.
Inevitabile il richiamo al “passato” e alle “radici”, ma non a una storia che determina, piuttosto a un’origine che si innesta nel presente.
La voce di un papà in attesa mette tutti d’accordo puntando con umiltà i riflettori su “imperfezione”: è l’atteggiamento di chi è consapevolmente in ricerca, di chi ha il coraggio di lasciare aperta la porta al dubbio, al tassello mancante, alle strade accidentate e complesse che, percorse con attenzione, possono regalarci paesaggi che non potevamo neppure immaginare.