Il titolo è immediato, ma sottende più di quello che si immagina: “L’incontro”, romanzo di Alessia Pecchioli che Amici don Bosco ha presentato online il 6 ottobre, non è solo l’incontro di Alice con Pilar, la sua mamma di nascita, ma anche quello avvenuto trent’anni prima tra Anna, la mamma adottiva, e Alice. E infine lo stesso incontro tra madre biologica e figlia, visto con gli occhi di Pilar. La scelta narrativa del romanzo e i nomi di fantasia delle protagoniste non nascondono ampi spazi lasciati al racconto autobiografico: “Ho raccolto la mia, la sua, la nostra storia e della nostra famiglia”. Inizialmente Alessia aveva pensato di raccontare l’incontro con la sua mamma di nascita come se fossero due facce di una medaglia, “ma mi sono accorta che mancava un pezzo fondamentale”, ovvero il punto di vista della sua mamma adottiva. Quindi ha scelto un romanzo con tre voci narranti, con un elemento ricorrente e unificante che è il sangue, espressione del femminile.
“Volevo andare oltre il pregiudizio che ha sempre accompagnato la mia storia”, con l’idea della “mamma vera” che esclude altre verità. “Una madre biologica in condizioni di miseria che abbandona un figlio è più facile da comprendere”, ma la verità è multiforme e la storia di Alice è fatta dei frammenti delle storie di Anna e di Pilar che sono universi, fatti di dolore, ma anche di tenacia.
“Questa è la mia storia, sono le mie risposte”: ovviamente Alessia non pretende di dare alla sua esperienza un carattere di universalità, ma nella sua chiave di lettura, nella sua sensibilità, nei suoi bisogni espressi e in quelli celati si possono ritrovare molte delle riflessioni condivise con il gruppo degli adottati adulti AAA, come il debito di gratitudine verso la famiglia adottiva, il sentirsi “né di un qui, né di un altrove” nella propria identità, il senso di vuoto che non si riesce a spiegare, la ricerca del punto di inizio della propria storia.
È così che Alice, a trent’anni di distanza da quando ha lasciato in fasce la Colombia tra le braccia di Anna, ritorna per lavoro a Bogotà e approfitta dell’occasione per mettersi in ricerca di Pilar. Lo fa da sola, senza coinvolgere la sua famiglia adottiva e a posteriori di questo si rammarica: “Rifarei tutto dall’inizio, ma la cosa di cui mi pento è di non averlo detto prima ai miei”. Di nuovo, il timore di deludere le aspettative o di provocare una ferita nei genitori verso cui si deve essere riconoscenti.
“Cercare risposte non significa non aver ricevuto amore. È bisogno di sapere”. Il desiderio di conoscere e di riallacciare un legame con le origini sembra essere altrettanto vivo in chi è stato adottato in tenerissima età come in chi ha memoria della sua storia preadottiva.
“Non è vero, come hanno sempre pensato anche i miei genitori, che io non avessi subito alcun trauma perché sono stata adottata da neonata. Io mi porto sempre, in tutte le relazioni, il terrore dell’abbandono”.
Il coraggio è più forte della paura di ricevere un rifiuto – un secondo, intollerabile rifiuto – e Alice incontra Pilar. Il libro si chiude qui, ma lascia aperta la porta sul futuro delle relazioni che da quell’incontro sono nate o si sono sviluppate. Pilar e Anna non si sono mai incontrate. Anna continua a essere la persona più importante nella vita di Alice. E quando Alice ha bisogno di calmarsi chiama Pilar, una voce che rievoca e riattiva emozioni ancestrali.