L’India si è fermata l’8 e il 9 gennaio. Almeno 200 milioni di lavoratori del settore pubblico, dei servizi, delle comunicazioni e dell’agricoltura hanno incrociato le braccia in tutto il Paese e hanno aderito allo sciopero generale convocato da dieci sigle sindacali. Le organizzazioni si oppongono alla nuova norma in tema di lavoro approvata dal governo il 2 gennaio scorso, che favorirebbe lo sfruttamento dei dipendenti e annienterebbe i diritti dei sindacati. L’iniziativa è di fatto un sondaggio sul gradimento del premier Narendra Modi e rappresenta l’occasione per milioni di lavoratori di protestare contro il caro-prezzi e la dilagante disoccupazione.
Ad AsiaNews John Dayal, segretario generale dell’All India Christian Council, afferma che si tratta di una manifestazione eccezionale, “tra le più grandi mai organizzate nel Paese. È stata pianificata in anticipo in ogni dettaglio”. L’aspetto più rilevante, aggiunge, è che essa “si svolge alla vigilia delle elezioni generali che segneranno il destino del primo ministro”.
Diverse città sono state bloccate dalle folle di manifestanti e si registrano scontri e devastazioni.
Il “Bharat Bandh” (sciopero nazionale) è un’iniziativa del Central Trade Unions (Ctu), sigla che riunisce le rappresentanze sindacali a livello federale. Esse protestano contro la nuova normativa Trade Unions (Amendment) Bill 2018 che ha modicato il Trade Unions Act del 1926. La legge prevede un riconoscimento obbligatorio per i sindacati, sia a livello centrale che statale. Tuttavia i lavoratori ritengono che la legge accordi al governo un “potere discrezionale” nel riconoscere o meno le sigle sindacali, eliminando di fatto l’attuale contrattazione basata sul consenso congiunto di impiegati, datori di lavoro e governo. I sindacati chiedevano inoltre l’approvazione di un Social Security Act a tutela dei lavoratori e un salario minimo di 24mila rupie (quasi 300 euro) per il settore dei trasporti.
Accanto ai lavatori di banche, assicurazioni, sanità, scuole, trasporti, industrie elettriche e del carbone, sono scesi in piazza anche contadini (con un “gramin hartal”, cioè sciopero del mondo rurale) e studenti. Tapan Sen, segretario generale di Centre of Indian Trade Unions (Citu), una delle sigle aderenti, critica il governo del premier Modi. “Sta uccidendo la cultura del lavoro – afferma – del settore pubblico, a tutto vantaggio dei grandi contratti con le imprese manifatturiere di attori privati”.