È curioso che nell’annus horribilis che ha messo alla prova, se non compromesso, molte relazioni, costringendoci alla lontananza e al distacco, Amici di Don Bosco abbia incentrato molte riflessioni proprio sulle relazioni e le correlazioni. Per chiudere il cerchio di questo flusso di narrazioni, ne abbiamo intrecciata una nuova, mettendo in dialogo l’esperienza fatta con il gruppo degli AAA con quella di Legàmi adottivi, un’associazione di persone adottate che è anche uno spazio di confronto tra chi si occupa, a vario titolo, di adozione e che ha come campo di interesse principale le relazioni e le dinamiche che le persone adottate adulte vivono con gli amici, i compagni di vita, i figli.
Come ha suggerito Devi Vettori, presentando il gruppo in occasione dell’incontro online dello scorso 19 dicembre, “desideriamo spostare l’asticella dall’essere percepiti, considerati, visti ma soprattutto sentirci solo figli al diventare adulti, protagonisti attivi , pensanti e consapevoli su quanto l’adozione influisca e condizioni le relazioni di oggi.”
Rivolgersi agli adulti e parlare di adozione quando l’età non è più quella infantile ha lo scopo di mettere il luce che l’adozione è un processo che accompagna gli adottati lungo tutto l’arco della vita. Avere maggiore consapevolezza della propria storia adottiva consente di affrontare meglio alcune situazioni, soprattutto quando si intraprendono relazioni nuove, da adulti, scelte, fuori dal nucleo familiare.
A partire da alcune parole chiave, durante l’incontro sono state suggerite delle piste per esplorare la relazione con il partner e con i figli.
Si è parlato di abbandono, perché è un vissuto che si ripropone e che rende gli adottati vulnerabili. È una ferita aperta che mostra la fragilità di fronte alle scelte operate da altri. “E’ una fragilità con cui si fa i conti fin dall’adolescenza, dai primi amori”, commenta Juliana Papurello. “Spesso si soffre preventivamente della paura di essere abbandonati, magari lasciando prima o boicottando la relazione con l’altro in modo da non subire l’abbandono. O semplicemente senza mai investire nell’altro: se sono solo, nessuno mi lascia. Oppure si rimane vittime del desiderio di una relazione simbiotica e morbosa col partner, spesso idealizzato.”
Occorre prestare attenzione al fatto che nella relazione ci sono due persone e quindi non essere “adozione-centrici”, lasciando spazio e rispettando i tempi del partner.
E a proposito di tempo, si è riflettuto sul fatto che sia una variabile da considerare con molta cura. C’è un tempo per narrarsi e si deve avere la libertà di sceglierlo senza forzature o costrizioni. Nel caso di un’adozione internazionale i tempi non sempre sono controllabili: i tratti somatici, il colore della pelle raccontano più di quanto si vorrebbe e possono anticipare il tempo della narrazione, mentre ciascuno dovrebbe poter decidere se, quando e cosa raccontare della propria storia. Alessandro Antonelli ha distinto questo tempo “esterno” da quello “interno”, più caratteristico delle adozioni nazionali: “Il figlio di un’adozione nazionale ha verosimilmente caratteri somatici non stravaganti rispetto al contesto in cui vive. Ciò gli permette di nascondersi e mimetizzarsi, se vuole. Egli è quindi attore. Può decidere se tacere o narrare la propria storia, ma anche decidere quando e per quanto tempo eventualmente tacere, quando, quanto e a chi eventualmente narrare. È quindi tendenzialmente in grado di dettare e gestire dall’interno della propria coscienza i tempi del racconto della propria storia adottiva, delle proprie origini, del sé più intimo”.
Non rispettare i tempi talvolta può essere una decisione presa quasi inconsapevolmente dai genitori nel tentativo di proteggere il proprio figlio. Il punto è che i genitori spesso non riconoscono che il figlio è diventato un adulto, privandolo della responsabilità che gli spetta.
Però in questo atteggiamento c’è anche da parte dei genitori il desiderio di condividere il loro tempo e la loro storia adottiva, ovvero il loro percorso di adozione. “Per un figlio adottivo”, aggiunge Maria Forte, “sentire che non c’è solo la propria storia adottiva, con tutte le sue implicazioni, ma che c’è anche una storia ‘parallela’ alla propria, ovvero quella dei genitori adottivi, un percorso fatto di attesa, aspettative, paure, sogni, rielaborazioni e fatiche, è importantissimo per costruire la storia della propria famiglia adottiva. Ecco quindi che la narrazione della storia dei genitori adottivi può diventare fondamentale integrazione nella storia del figlio adottivo.”
Parlando di narrazioni familiari, il riferimento non può che essere all’ “alfabeto delle relazioni”, come lo ha definito Vittorino Andreoli: trovare, individuare, cercare al proprio interno le parole giuste per parlare di adozione e costruire significati.
È stata una vera “festa diffusa” che ha abbracciato – a distanza, s’intende! – tutto il pianeta, costringendo qualcuno alla levataccia e qualcun altro ad andare a letto tardi. Quest’anno la nostra Festa di Natale è stata online e ha unito gli Amici da Papua Nuova Guinea fino alla Colombia. Ci siamo trovati sulla consueta piattaforma Zoom la scorsa domenica per un augurio natalizio tra operatori, famiglie e referenti: mentre noi, collegati da ogni angolo d’Italia, e Giulio Melani, il nostro referente in Benin, prendevamo il caffè dopo pranzo, la nostra referente in Colombia Marien Villamil Villar faceva colazione, Suor Aruna digeriva la cena e Father Greg Bicomong, nostro ex referente nelle Filippine e ora Ispettore in Papua Nuova Guinea, degustava una tisana prima di coricarsi!
Lo ammettiamo, questa idea dell’incontro online è nata come un’alternativa (persino un ripiego) alle feste in presenza. Non avremmo mai immaginato che potesse essere così coinvolgente! La potenza del virtuale per accorciare le distanze ci ha stupito positivamente ancora una volta. Ha inaugurato la festa il saluto del nostro Presidente don Domenico Ricca, che ha definito le famiglie adottive “la grotta di Betlemme” per la loro capacità di accogliere, amare ed essere famiglia. E poi sono seguiti quelli dei referenti: la commozione di Marien, il sorriso aperto di Father Greg, la grinta e la dedizione di Suor Aruna, l’orgoglio di Giulio di essere parte della riunione hanno fatto sentire tutti i partecipanti una vera comunità. Come è stato giustamente ricordato, il vero grazie va sì ai genitori adottivi, ma soprattutto ai loro bambini e bambine, per il coraggio che hanno avuto nel fidarsi e affidarsi. L’impressione autentica è che abbiano fatto bene!
Dopo una preghiera collettiva e lo scambio degli auguri, ripercorrendo quanto è stato fatto in questo 2020 così straordinario, la “fucina delle idee di Amici” ha lanciato una nuova proposta per stare insieme durante le feste: come da migliore delle tradizioni, non può mancare nelle nostre case la tombola! E allora ci troveremo anche noi tra ricchi premi e cotillon per la Tombola online di Amici di Don Bosco! Vi aggiorneremo presto con maggiori dettagli, quindi stay tuned. Ma per il momento godiamoci tutti qualche giorno offline!
Buon Natale!
Grazie all’infaticabile impegno degli AAA siamo riusciti a portare a termine il percorso di esplorazione delle relazioni che gravitano attorno all’adottato, iniziato con la relazione per eccellenza, quella genitore-figlio, passando per quella di coppia per allargare infine lo sguardo e comprendere la famiglia allargata con i nonni, gli zii, gli zii-amici, la famiglia del partner.
L’incontro conclusivo del ciclo di CorRelazioni si è intrecciato perfettamente con l’appuntamento della settimana precedente dedicato ai nonni (e alle famiglie allargate, più in generale) in attesa che hanno scelto di partecipare e di condividere le loro esperienze, le loro proiezioni e i loro oggetti della memoria attraverso i quali narrare una parte della storia familiare ai futuri nipoti perché diventino patrimonio comune.
È, infatti, con le parole che nasce una famiglia, con la voglia di raccontarsi e di ascoltarsi, di chiedere e di rispondere. E i nonni, in questo sono esperti! I nonni rappresentano la continuità tra passato e futuro: sono depositari della storia dei loro figli e delle radici culturali, sono la memoria storica delle generazioni della famiglia e condividerla con il bambino crea appartenenza.
Lo hanno ribadito con forza Aroti e Francisca, del gruppo degli AAA, dando maggior valore e autenticità a queste affermazioni. “Ho imparato a conoscere le radici della famiglia attraverso le lettere che il nonno scriveva alla nonna durante la guerra, attraverso gli aneddoti che lei mi raccontava”, ha commentato Aroti. “Ha creato lo spazio per raccontarsi.”
Ed è proprio questo il canale del sentire tra nonni e nipoti adottivi: lo scambio della propria storia, del proprio vissuto attraverso il racconto di due vite che, seppur vissute in modi e tempi diversi, si incontrano per creare un nuovo legame di affetti. “I giochi che lei mi ha insegnato”, ha proseguito Aroti, “come ad esempio la settimana, sono gli stessi che facevo da bambina in India. Le filastrocche, con parole e suoni diversi, avevano la stessa struttura e lo stesso ritmo. Abbiamo condiviso la stessa infanzia semplice”.
Il gioco si trasforma allora in strumento per tessere relazioni e rintracciare affinità e punti di contatto nella diversità. “Io con la nonna materna giocavo a carte”, ha aggiunto Francisca. “A differenza di quanto accade spesso con i nipoti, la mia nonna non mi ha mai viziata molto. Anzi, ero spesso arrabbiata con lei perché era quella delle regole. Ma è l’unica figura di riferimento che ricordo. Dei nonni paterni non conservo alcuna fotografia, non sono mai stati presenti, i loro rapporti con la mia famiglia erano molto tesi, c’erano segreti e non detti. Ma nonostante tutto, in qualche modo mi hanno passato il valore della famiglia. In maniera indiretta e inconsapevole, ma mi sono resa conto che c’era qualcosa che li teneva insieme”.
I nonni rappresentano il legame con il passato e attraverso la loro vicinanza il bambino può prendere coscienza delle dinamiche relazionali della sua nuova famiglia. Dai nonni si può imparare tanto. “Io grazie alla nonna ho imparato il dialetto, la passione per la buona cucina e le ricette di quei piatti, la dedizione all’orto, la calligrafia, l’amore per gli animali. Trascorrevo con lei l’estate, mi portava in chiesa e adoravo la sua cura nel pettinarsi e vestirsi, che ho ereditato. Prima di imparare il dialetto tra noi comunicavamo con il linguaggio del cuore, che andava oltre la comprensione linguistica. Non mi ha mai giudicato, non ha mai preteso nulla.”
I nonni adottivi sanno che accogliere un bambino significa accompagnarlo nella vita, proteggerlo, aiutarlo a crescere, amarlo. I nonni che hanno partecipato all’incontro finale di CorRelazioni sono pronti a farlo e anzi attendono con entusiasmo e trepidazione il momento in cui potranno mettersi in gioco.
CorRelazioni non è giunto al capolinea: vogliamo aprire uno spiraglio ospitando un gruppo di adottivi che in modo differente ha avviato un percorso di riflessioni sulle relazioni intrecciate dalle persone adottate. Con grande piacere sabato 19 dicembre alle 15 su Zoom CorRelazioni incontrerà Legàmi adottivi: ragioneremo insieme sui passaggi di ruolo che l’adottato vive attraversando le generazioni da figlio a genitore, prima fuoco dell’attenzione, poi motore di un’autonomia a volte difficile da conquistare e gestire.
“Que linda la fiesta es/ en un ocho de diciembre”: recita così la più tipica delle canzoni intonate in Colombia in occasione del Dia de las velitas, una festa tradizionale molto sentita. O è forse più corretto parlare di noche de las velitas, perché comincia la notte del 7 dicembre, la vigilia dell’Immacolata, e segna l’inizio dei festeggiamenti che precedono il Natale.
In quell’occasione le case, le strade, i parchi, i giardini, i centri commerciali sono illuminati con candele (velas) e lanterne. L’abitudine di usare un diminutivo per tutto ciò che provoca affetto o simpatia ha trasformato le velas in velitas e da lì il nome della festa.
L’origine di questa tradizione risale al momento in cui Papa Pio IX proclamò nel 1854 l’8 dicembre festa dedicata alla Madonna e milioni di pellegrini a Roma accesero una candela in segno di devozione. Da allora l’usanza di illuminare la notte che precede l’Immacolata ha varcato i confini e la festa ha superato la dimensione religiosa per fondersi con quella culturale.
Quest’anno abbiamo scelto di portare un po’ anche qui i festeggiamenti colombiani e abbiamo dedicato un laboratorio di lingua spagnola alla preparazione del dia de las velitas e all’avvicinamento alla cultura colombiana. È stato un appuntamento pieno di colore, grazie alle coppie in attesa, a quelle che da poco non lo sono più e ci hanno fatto conoscere i loro bambini, alle famiglie “storiche”, a quelle nuove che abbiamo incontrato per la prima volta, agli aficionados delle nostre proposte, nonni in primis!
Il valore aggiunto sono stati i bambini – alcuni cresciutissimi! – che hanno condiviso un po’ dei loro ricordi, hanno rispolverato lo spagnolo e si sono messi gioco dando ottimi spunti per arricchire la selezione musicale di villancicos, i canti di Natale.
Sulle note delle canzoncine tradizionali per grandi e piccini ci siamo proiettati oltreoceano per lasciarci incantare dalla magia dei davanzali illuminati, dai giochi di luce, dai falò accesi, dalle lanterne colorate, dai fuochi d’artificio spettacolari, fino a vere e proprie fiamme di fuoco come la candelada del diablo.
E con una promessa: quella di accendere anche sui nostri davanzali nella notte del 7 dicembre una candela per dare spazio ai ricordi e alle tradizioni della terra d’origine dei bambini che già fanno parte della famiglia e di quelli che attendono di diventarlo. Così è stato e le fotografie che le famiglie ci hanno inviato ne sono la dimostrazione.
Allo stesso modo, sulle tavole imbandite per il Natale quest’anno non mancheranno natilla, buñuelos e galletas de Navidad, che seguendo la ricetta – rigorosamente in lingua spagnola – le famiglie si stanno già esercitando a preparare!
Abbiamo cominciato a parlarne a ottobre attraverso un contest lanciato su Facebook. Ma per risalire all’idea originale occorre fare ancora un balzo indietro nel tempo, quando abbiamo provato a rispondere alla domanda “quali luoghi comuni sull’adozione sono presenti ancora oggi?”.
Abbiamo interpellato come sempre i protagonisti, ovvero genitori e figli adottivi che di quegli stereotipi sono il bersaglio. Abbiamo raccolto alcune delle esternazioni, delle domande, delle affermazioni più fastidiose che sono stati costretti ad ascoltare. Quelle che, tirato un sospiro, ti fanno proprio venir voglia di dire: “Che palle!”
Sono nate così le “Le Palle di Natale” versione Amici don Bosco, la nostra proposta per il Natale solidale 2020!
Dodici frasi che hanno colpito la sensibilità di genitori e figli, accompagnate da dodici riflessioni, per aiutare chi vi sta vicino a capire perché prima di aprire bocca, bisognerebbe fermarsi a pensare. Non ci basta, infatti, lanciare provocazioni o strappare una risata amara. Preferiamo essere propositivi e provare a costruire un modo di comunicare l’adozione più attento al vissuto dei protagonisti. Per questa ragione queste palle di Natale colorate e vivaci sono accompagnate da una sorta di “manuale di istruzioni” che raccoglie i pensieri di chi si è sentito colpito in modo sgradevole da quelle frasi, le ragioni per cui lo hanno irritato, infastidito, deluso o ferito. Non solo queste affermazioni sono fuori luogo, spesso fanno male.
E allora dopo averle appese all’albero, invece di ritirarle il 6 gennaio con gli altri addobbi, si possono tenere portata di mano: sono estremamente utili per affrontare l’argomento “adozione” in modo un po’ diverso, con i familiari, con gli amici che “non ne sanno molto”, con i colleghi che parlano a sproposito.
Acquistare questo kit di palle di Amici di Don Bosco significa anche consentirci di portare avanti i nostri progetti a tutela dell’infanzia e contribuire a costruire una buona cultura dell’adozione. Un regalo di Natale originale per parenti, amici o colleghi, per l’associazione familiare, per le coppie in attesa e per quelle che stanno muovendo i primi passi nel cammino dell’adozione, per il vicino di casa inopportuno che non rinuncia alla raffica di stereotipi, per gli insegnanti più sensibili e per quelli che avrebbero bisogno di aprire un po’ gli occhi.
Insomma… quest’anno, a Natale, fate girare le Palle!
Per informazioni su ordini, costi e spedizioni: info@amicididonbosco.org
Proviamo a riprendere qui alcune delle riflessioni emerse nel corso dei due lunghi e densi incontri di CorRelazioni dedicati alle relazioni di coppia.
“Dove finisco io? Dove inizia l’altro?”, si sono chiesti gli AAA. Negli adottati spesso l’identità frammentata si traduce in disorganizzazione affettiva. “L’io strutturato del partner contrapposto all’io destrutturato dell’adottato crea disfunzionalità nella relazione di coppia”, puntualizza Simone.
Se nella fase dell’innamoramento, momento magico e sospeso in cui c’è identificazione reciproca, c’è idealizzazione ed è dunque più semplice stare, le cose si fanno più complicate quando si deve provare a costruire una normalità nel quotidiano. È complesso entrare e stare in una relazione quando “non si hanno punti di riferimento di chi tu sei. Se non sai chi sei, non puoi sapere cosa sai (sai fare, sai essere) veramente”. La sensazione è quella di sentirsi non finiti e sbagliati a priori.
Si è parlato di identità dell’adottato continuamente dispersa, ma Aroti ha individuato 3 identità nella relazione: i due partner e la relazione stessa come nuova identità in cui entrano in gioco entrambi.
“Tutti siamo tormentati e fragili, nessuno può sentirsi risolto”, ha precisato in merito alla sensazione di indefinitezza identitaria.
È pur vero che l’abbandono come lutto, l’attaccamento insicuro, la relazione manipolata che hanno a che fare con l’esperienza dell’adozione possono influenzare la relazione di coppia.
“Fin dall’inizio gli altri hanno scelto per me”: si riproduce questo schema nelle relazioni, con il rischio per la persona adottata di abbandonarsi alle decisioni dell’altro/a. L’immagine che Simone suggerisce è quella di “sentirsi in balia dell’altro. Si intrecciano disfunzionalità legate all’abbandono e il fattore volontà: fino a quando vorrà stare con me? Non sono mai sicuro della presenza dell’altro. Sono portatore malsano di ossessività, cosa che genera ulteriore attaccamento o al contrario distacco. Ho una capacità di accettazione dell’altro di gran lunga superiore a quella che ricevo.”
Distacco, mancanza, attaccamento e la fatica del distacco a qualunque costo. Il tradimento e la fedeltà incondizionata sono considerate due facce della stessa medaglia.
“È difficile trovare un equilibrio”, continua Aroti. “Occorre districarsi e fortificare, avere capacità di resistere e resilienza. Tutto questo può anche spaventare il partner. Io avevo paura di travolgere il partner, di distruggerlo con il mio vissuto. Per questo ho dovuto prendermi il tempo per avere la sicurezza di potermi fidare e affidare. Noi persone adottate abbiamo bisogno di sentirci al centro, non per manie di protagonismo, ma abbiamo bisogno di sentire che la nostra storia è presa in considerazione e che ne ne ha cura. Quando ci si sente trasportati, non trascinati, solo allora ci si può concedere di essere fragili”.
Con grande coraggio e profonda analisi, l’adozione è stata definita “un trauma”. “Non c’è consapevolezza che sia un trauma”, prosegue Aroti. “È brutto essere rifiutati.”
Mentre altri tipi di esperienze, quella della violenza, della guerra, dell’abuso sono percepiti a livello collettivo come traumi, quella dell’adozione non ha lo stesso riconoscimento nell’immaginario. E a questo spesso si associano la leggerezza, lo sminuimento, gli stereotipi, il razzismo con cui gli adottivi sono costretti a fare i conti e che aprono ferite.
E senza dubbio minacciano l’autostima. Simone ricorda di non essersi mai sentito all’altezza, ma anche di essere stato “fortunato e bravo nel trovare partner sensibili”. Oggi allo struggimento del passato per la fine di una relazione si è sostituito un dolore dalle sfumature più tenui. Anche perché nella relazione ha incorporato l’importanza di comprendere la differenza di esperienze e di modelli di riferimento.
Francisca ha raccontato di aver sperimentato e rivissuto la ferita abbandonica quando si è trovata a lasciare il partner: la difficoltà di lasciare si era tradotta nell’impossibilità di terminare una relazione nella quale non si sentiva a suo agio e non voleva stare, ma era comunque preferibile rispetto all’infliggere all’altro il dolore di un abbandono.
“Le persone ferite tendono a ferire, fanno male perché hanno provato il male”, ha commentato Aroti aprendo una prospettiva diversa.
La persona adottata ha alle spalle due tipologie di famiglia, quella biologica e quella adottiva. Qual è dunque il modello a cui ispirarsi o non ispirarsi? Per Aroti è importante “provare a essere qualcosa di altro rispetto ai due modelli familiari di riferimento. Integrare i due modelli familiari e lasciare spazio per la terza identità che non trova spazio né qui né là”. Giovanni parla di una “doppia legacy”, un’eredità doppia che proviene dalla famiglia adottiva e da quella d’origine, verso la quale si dimostra curioso. Ma il suo punto di riferimento, pur con le inevitabili imperfezioni, sono i suoi genitori adottivi, tanto che precisa: “I genitori non sono perfetti e non devono esserlo.”
Indubbiamente l’esperienza della separazione o dell’abbandono si traducono in un bisogno di stabilità e di rassicurazione nell’adottato. Allora che dimensione assume il rapporto con la verità nella relazione di coppia? Il bisogno di verità, di sincerità si lega al bisogno di verità relativo all’inizio della propria storia?
Per Francisca il rapporto con la verità è cambiato nel tempo: ha dovuto gestire segreti, racconti parziali e verità nascoste e ha capito che questa mancanza di trasparenza è ciò che non vuole ripetere nella relazione di coppia. Aroti ha dovuto “testare” la pazienza del partner per accettare la possibilità che venissero chieste cose scomode o ovvie. Spesso si è gelosi del proprio vissuto e si vuole attendere di trovare un orecchio e un cuore pronti ad accoglierlo per lasciarlo andare e farlo depositare.
E nuovamente nella ricerca del partner un richiamo all’identità: come si è visti dai propri “conterranei originali”? Giovanni aveva suggerito “Né carne, né pesce. Forse sushi?!”.
La loro percezione influisce sulla costruzione identitaria dell’adottato. Se parlando di disgregazione emotiva e frammentazione identitaria si era parlato del non sentirsi completamente finiti, Giovanni azzarda: “Forse neanche iniziati”? Ma inaugura anche una prospettiva nuova: non finito significa in divenire, significa avere confini fluidi e porosi che aprono a nuove possibilità da esplorare.
Si è parlato poi di errori da non ripetere, di ciò che si desidera in una relazione, di legami con le radici e di rapporto con la cultura in cui si è cresciuti.
Ma a molti dei genitori e delle coppie che hanno partecipato a questi due incontri una domanda si è fatta spazio nella testa: come possono i genitori adottivi essere di aiuto per i loro figli? La risposta è stata univoca: dimostrandosi pronti a lasciare la porta aperta. Non sempre la persona adottata ha voglia di rispondere subito di fronte a un’offerta di aiuto e di ascolto. Ma sapere che la porta è aperta è un incoraggiamento a fare ritorno.
L’incontro di CorRelazioni dedicato alle relazioni di coppia ha offerto molti stimoli di riflessione, tante sollecitazioni e chiavi di lettura. Li abbiamo lasciati decantare e abbiamo chiesto alle famiglie partecipanti di “restituire” gli echi che le voci di Simone e Aroti del gruppo degli AAA hanno suscitato in loro, come persone e come genitore (in attesa o già “nell’esercizio delle funzioni”). Ne abbiamo raccolti alcuni che riportiamo qui di seguito, in attesa di un appuntamento bis sullo stesso tema sabato 31 ottobre alle 15 sempre in modalità online.
“Il tipo di incontro a cui abbiamo partecipato è efficacissimo perché gli adottati adulti danno a noi genitori degli spunti importanti per rinforzare magari gli adottati più giovani nelle nostre famiglie. La qualità è stata molto alta perché Simone e Aroti si sono raccontati con grande sincerità e senza filtri.
Molto apprezzata la riflessione sulla paura di esporre il proprio vissuto di adottato in una relazione e la riflessione sul fortificarsi con le esperienze e capire che nella relazione non ci si deve sentire soggiogati dall’altro”.
Antonella e Giampiero
“Innanzitutto un grande grazie ad Aroti e Simone per quello che hanno raccontato e per la condivisione della loro vita: è sorprendente e miracoloso vedere dei ragazzi che ce l’hanno fatta e sanno rileggere la loro vita. Alcuni spunti sono stati decisamente illuminanti, un esempio fra tutti il perché di tante maternità in età così giovane tra i figli adottati che ho visto anche in compagni di scuola dei miei figli con la loro stessa storia.
Mi rimane però aperta la domanda su quale possa essere il ruolo della famiglia adottiva nel percorso affettivo di questi figli. Da quello che ho letto della storia di Aroti mi sembra evidente che possa essere stata fonte di ulteriori ferite, dolori e traumi. Anche dal racconto di Simone sembra così: l’affermazione sul fatto di sentirsi come il figlio che avrebbero voluto e quindi come il figlio che non c’è stato e non il figlio che c’è, mi sembra descriva bene la situazione. Siamo genitori o futuri genitori che hanno ancora spazi di lavoro con i propri figli e se partecipiamo a questi incontri è perché non vogliamo perderli”.
Pia
“Dal punto di vista dell’efficacia, a noi l’incontro ha trasmesso molto, pur con le limitazioni del mezzo che non permette la partecipazione emotiva di un incontro di persona. In ogni caso ne è ampiamente valsa la pena”.
Silvia ed Ezio
“Aroti e Simone, con quanto hanno condiviso e anche con la sola presenza, ci hanno regalato davvero un mondo di emozioni e preziose occasioni di addentrarci nel loro vissuto. Preziose non solo perché intime e commoventi, ma anche perché potrebbero aiutarci a trovare una chiave di lettura su quanto vivono i nostri ragazzi adottivi e, se posso, anche quelli biologici. Pensando a mio figlio mi è sorta subito una domanda. Ma come hanno fatto a fare questo salto di qualità? Mi spiego: come sono passati dal loro personale cammino al meraviglioso cammino di condivisione anche con altri? Sarà sicuramente carattere, oppure aver avuto l’occasione, ma credo che qualcosa abbia toccato il loro vissuto per avergli dato la forza di mettere sul piatto le loro esperienze.
Non c’è dubbio che l’incontro su questo tema abbia smosso tante riflessioni e sicuramente mi ha reso più attenta e aperta all’ascolto di quanto viene detto e di quanto viene non detto dai nostri ragazzi. Ritengo la qualità di questa proposta al top. Il connubio genitori, tema interessante ed esperienze già vissute da ragazzi credo sia vincente. Non sono solo parole ma esperienze messe a disposizioni per la crescita altrui. Possono fare o non fare al caso nostro ma sono sempre arricchenti.
Da quando abbiamo incontrato l’associazione, ormai anni e anni fa, ne abbiamo subito valorizzato i punti di forza: chiarezza, umanità, rapporti personali e la, a volte scomoda, immensa schiettezza! Questo tipo di incontri credo che siano perfettamente in linea con l’essere associazione.
In sintesi credo che il lavoro del gruppo AAA, attentamente guidato, possa andare a centrare più di un obiettivo e noi genitori adottivi non possiamo che ringraziare”.
Barbara e Sergio
In mezzo a tutte le incertezze che contraddistinguono questo straordinario autunno, il punto fermo resta la volontà di Amici di Don Bosco di non perdere quanto di bello si è costruito nei mesi scorsi trasformando la distanza in una sfida nella ricerca di nuove opportunità.
Quindi continuano in modalità online i nostri laboratori e le nostre attività rivolte alle coppie in attesa, alle famiglie adottive e a quanti sono interessati a esplorare il mondo delle adozioni.
Si è appena conclusa una nuova edizione del laboratorio di fiabe in spagnolo “Te contaré una historia” per le coppie in attesa per la Colombia. L’importanza di lavorare sulla lingua madre dei figli adottivi è ribadito da una mamma che ha partecipato alla prima edizione e che dalla Colombia dove si trova ci scrive:
“Sapere lo spagnolo serve, eccome! Le coppie di genitori forse non ne sono consapevoli ma è una mancanza da colmare il più possibile. Nella videochiamata che abbiamo fatto con i bimbi (che è stata MERAVIGLIOSA e CI HA CARICATO, soprattutto di CORAGGIO… e pensare che noi non volevamo farla), ci sono stati intoppi e ce la siamo dovuti cavare da soli! Lì abbiamo dato fondo alle nozioni apprese nel corso “Te contaré una historia”: abbiamo potuto chiedere cosa piace loro, cosa vorrebbero fare quando staremo insieme, qual è la loro fiaba preferita, il loro cartone, insomma sono state due ore ininterrotte di chiacchiere in spagnolo. Alla fine loro ci hanno chiesto di insegnare qualche parola in italiano e, oltre a mamma e papà, insegnare a dire TI VOGLIO BENE a ciascuno di loro ci ha mandato in solluchero! Aver seguito il corso del pacchetto “La valigia degli attrezzi” dedicato alla Colombia ci ha preparati a cogliere qui alcuni aspetti… comprese arepas e doccia fredda! Sapere di voler e dover trovare tempo per prendere qualcosa dalla Colombia perché resti per sempre ai nostri bimbi, non ha valore. Noi crediamo che ciascun genitore abbia la responsabilità di accogliere nel migliore dei modi il proprio figlio. Per noi genitori di figli colombiani significa accogliere la Colombia e la sua cultura. Queste sono indicazioni insindacabili. Se un genitore non riesce a capirne l’importanza, è giusto insistere e offrire l’opportunità di capire meglio”.
E allora cosa bolle in pentola?
Intanto sabato 17 ottobre alle 10.30 ci sarà il secondo appuntamento di “CorRelazioni” dedicato alle relazioni di coppia: i giovani adulti del gruppo ormai noto degli AAA offriranno il loro sguardo e condivideranno le riflessioni che hanno maturato. Davvero una bella occasione di scambio!
Riparte il laboratorio di narrazione dell’attesa “Prima che tu arrivassi. Imparare a raccontare l’attesa”: il primo dei due incontri è fissato per lunedì 26 ottobre dalle 18 alle 20, il secondo sarà concordato con i partecipanti.
Non vogliamo trascurare nessun membro della nuova famiglia, quindi abbiamo pensato di coinvolgere anche i nonni, gli zii e quanti fanno parte della famiglia allargata in un incontro a loro dedicato: “Tra passato e futuro. La memoria storica delle generazioni della famiglia”. L’obiettivo è quello di facilitare la conoscenza e la comprensione del mondo culturale del bambino, di aiutare i genitori nel progetto adottivo, di valorizzare il loro ruolo quali testimoni della storia familiare e anello di congiunzione che possa includere la storia del bambino. L’appuntamento è per sabato 14 novembre dalle 10.30 alle 12.
Qualche anticipazione natalizia: nella prima settimana di dicembre festeggeremo il Dia de las Velitas (in realtà la Notte delle Candeline), tradizionale festa colombiana, con un incontro dedicato ai villencicos de Navidad, le canzoncine di Natale in lingua spagnola.
Ricordate la bella esperienza di cena colombiana a “La Choza”? Ha da poco aperto un ristorante filippino nel centro di Torino, quindi replicheremo presto l’esperimento per le famiglie filippine. Stay tuned per date e modalità di fruizione!
Alzi la mano chi si sente in grado di affermare che non ha mai “sofferto per amore”.
Dopo la relazione per eccellenza, quella tra genitori e figli, CorRelazioni torna con un nuovo appuntamento dedicato alle relazioni di coppia: un universo altrettanto ricco di stimoli, ma forse meno esplorato dal punto di vista degli adottivi adulti.
In questa nuova e interessante occasione di scambio e di confronto saremo accompagnati da giovani adulti del gruppo ormai noto degli AAA in una narrazione della loro esperienza di “essere” all’interno di una relazione sentimentale, a cominciare dai primi amori in adolescenza in poi.
Le relazioni di coppia sono un baricentro importante nella vita affettiva di tutti gli esseri umani. Per chi ha una storia di adozione, la percezione e la rappresentazione di sé tra passato, presente e futuro, possono avere un qualche riverbero sulla costruzione di un rapporto di coppia?
Non offriremo risposte certe, piuttosto lanceremo spunti che ci possono aiutare a ragionare. Affronteremo da una nuova prospettiva, più insolita, il tema dell’identità, pareremo di relazioni disfunzionali, della difficoltà di abbandonarsi e di quella – opposta o meglio complementare – di gestire un addio, dei tentativi talvolta frustrati di incorporare la storia di adozione nella vita di coppia, dell’assoluto bisogno di sincerità.
Un incontro che si preannuncia particolarmente appassionante in questo spalancare la porta alle emozioni. Lo faremo con la delicatezza che sempre contraddistingue questi incontri e con il sincero rispetto per chi ha scelto di raccontarci una parte così intima di sé.
Vi aspettiamo, ancora una volta a distanza, sabato 17 ottobre dalle 10.30 alle 13 sulla piattaforma che siamo soliti usare per i nostri incontri.
Chi aveva sottoscritto la partecipazione all’intero ciclo di CorRelazioni riceverà il link e la password per accedere.
Tutti gli altri possono scriverci per informazioni e dettagli su info@amicididonbosco.org
A presto!
Ogni bambino in qualunque parte del mondo ha diritto a una famiglia. Ha bisogno di te. Dona il tuo 5×1000 all’associazione amici di don bosco onlus: 97513940011.
Associazione Amici di Don Bosco ONLUS
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Orario al pubblico:
dal lunedì al venerdì ore 9.00 – 12.30
giovedì anche 16.00 – 18.30