Chi ci segue su facebook conosce già Radhika. L’abbiamo chiamata “una delle nostre bambine”, anche se va già all’Università, Radhika ha accettato di farsi coinvolgere nel progetto “Trame”, promosso da Amici di Don Bosco, a partire dal video così intitolato, per creare scambio e dibattito sul complesso tema delle origini e dell’identità dei ragazzi adottati. Radhika, dopo aver iniziato a collaborare al progetto, ha inviato questa lettera, che riteniamo importante “fissare” anche sul nostro sito, dato che i social hanno la bella caratteristica di creare rete, ma non quella della “durata”.
E questa è una lettera che merita di restare fissata, letta e fatta leggere. Anche perché essa contiene l’idea di dare un seguito a questa esperienza, dando il ruolo di protagonista ai tanti “nostri bambini”. Che qui sono interpellati in prima persona. Ecco, allora, qui di seguito, il testo integrale della lettera.
“Mi chiamo Radhika Ghigo e sono nata a Mumbai, la città dei mille sorrisi e dei mille sguardi. I miei genitori mi hanno adottata quando avevo 2 anni e mezzo e tra qualche mese saranno 19 anni esatti che vivo in Italia.
Per molto tempo non ne ho voluto sapere delle mie origini, volevo essere solamente il più possibile uguale ai miei coetanei. Cercavo di adattarmi in tutto e per tutto a loro, dal modo di fare al vestirsi, dai capelli (me li sono tagliati e pure colorati… di rosso) e persino alla forma del corpo. Solo che alcuni aspetti di me, per quanto desiderassi non ci fossero, rimanevano comunque evidenti: il diverso colore della pelle, i lineamenti del viso, addirittura alcuni miei gusti e modi di fare (ad esempio il classico modo leggiadro di muovere le mani tipico delle indiane). E, dico adesso, meno male che c’era qualcosa di me che comunque diceva delle mie origini, sapeva di India, nonostante tutte le mie opposizioni. Sono sempre più convinta che se una cosa è giusta per te, questa troverà il modo perché tu lo capisca prima o poi… e così è successo a me. Ma non è stato facile farmelo capire, lo riconosco. Anche perché non si trattava mica di una bazzecola: doveva farmi capire che io ero giusta per me.
Eh già, io ho passato anni a sentirmi sempre un po’ fuori posto, “quella diversa”. Come si può facilmente immaginare, ero tutt’altro che felice. Per fortuna però è arrivato un momento in cui ho cominciato a capire che “adattarmi all’ambiente” non faceva per me e che preferivo spiccare per le mie particolarità anziché adeguarmi come fanno i camaleonti, rispecchiando ciò che li circonda. Ad un certo i tasselli hanno cominciato ad incastrarsi quasi da soli: da una parte mostre, fotografi, libri, film, persone mi avevano acceso il desiderio di sapere qualcosa di più dell’India e di dedicare più attenzione alle mie origini. Dall’altra si sono riallacciati i rapporti con l’Associazione che ha accompagnato la mia adozione, tanto che ho partecipato al progetto Trame in prima persona. Ma come accennato poco sopra non è stato così facile e veloce per me il cammino di accettazione di me stessa, infatti c’erano ancora tante cose irrisolte dentro di me. La scorsa estate però, dopo l’ennesimo libro di foto, mi é capitato tra le mani un intero album fotografico sull’India di Steve McCurry. Ecco, in quell’esatto momento ho avuto per la prima volta il desiderio di andare nel paese in cui sono nata. Così, a dicembre 2016 sono partita con la mia famiglia per Mumbai. Quel viaggio, che é stato infinitamente più di un semplice viaggio, ha contribuito in buona parte a farmi diventare quella che sono adesso. E una volta tornata, mano a mano che i mesi passavano, aumentava la nostalgia della mia amata India. Subito ho cercato di non darci peso, ma questa, imperterrita, continuava a farsi strada dentro di me e anzi, si acutizzava sempre di più. Allora mi sono detta che, mancanza per mancanza (perché quella in ogni caso era e non se ne andava da me), tanto valeva considerarla e darle il valore che merita. Perciò, tenendo aperto il dialogo con l’Associazione, è venuto fuori che sarebbe bello organizzare degli incontri tra noi giovani (di origine indiana, colombiana, filippina… il gruppo non vuole avere confini) come occasione per mettere senza paura sul tavolino domande, timori, fragilità, ma anche per confrontarsi su soluzioni, potenzialità, ricchezze, in un’ottica di aiuto reciproco. Perché dar vita ad un gruppo di adottati? Personalmente mi sono resa conto che un amico, per quanto possa essere aperto di mente e intelligente di cuore, non potrà mai capire veramente fino in fondo la tua esperienza. Invece, chi come te ha una storia di adozione, anche se non lo conosci profondamente… vuoi per empatia, ma comunque riesce a comprenderti. Perciò che ne dite ragazzi, vi va di vederci? Adesso che mi sono lanciata, vorrei che la cosa si concretizzasse presto: pensavo al mese di ottobre. Chi è interessato, può scrivere un mp qui o una mail a info@amicididonbosco.org . Vi aspetto”.
Foto di Radhika Ghigo (dicembre 2016 “La mia India”)