Non poteva certo mancare Amici di Don Bosco, nella persona del suo Presidente, don Domenico Ricca, alla celebrazione della S. Messa officiata ieri, domenica 30 agosto, messa alle 11 nella parrocchia Maria Regina delle Missioni da don Giorgio Marengo, consacrato Vescovo di Ulaanbaatar lo scorso 8 agosto nel santuario della Consolata, a Torino. Con la nomina di Prefetto Apostolico e vescovo lo scorso 2 aprile da Papa Francesco, che gli ha assegnato la sede titolare di Castra Severiana, il rito avrebbe dovuto essere celebrato nella capitale mongola ma, a causa delle severe restrizioni applicate per contenere la pandemia Covid-19, si è optato per l’Italia. E si è scelto il Piemonte per rendere omaggio alle radici cuneesi di don Marengo e il Santuario della Consolata non a caso: don Giorgio ha emesso la professione perpetua il 24 giugno 2000 come membro dell’Istituto missioni Consolata e, ordinato sacerdote, nel 2003 è stato inviato come primo missionario della Consolata in Mongolia ricevendo il mandato proprio nel santuario torinese. «Che la consacrazione episcopale avvenga a Torino è il risultato di un misterioso intreccio di eventi ed è un dono del tutto inaspettato», aveva detto don Marengo in un’intervista al settimanale diocesano “La voce il tempo”.
Un’ordinazione episcopale, dunque, a porte chiuse e trasmessa in streaming e su un maxischermo allestito all’esterno del santuario della Consolata, presieduta dal card. Luis Antonio Tagle, arcivescovo di Manila e prefetto della Congregazione per l’evangelizzazione dei popoli, alla presenza dei vescovi con-consacranti mons. Cesare Nosiglia, arcivescovo di Torino, e del card. Severino Poletto, arcivescovo emerito di Torino.
Dopo la celebrazione della S. Messa il giorno successivo alla sua ordinazione nella chiesa del Beato Giuseppe Allamano, Casa Madre dei Missionari della Consolata, l’appuntamento di domenica 30 agosto è stato un ulteriore omaggio alla vocazione missionaria e alla Consolata che ha portato i missionari nelle lontane terre mongole. In un Paese grande 5 volte l’Italia sono appena 1300 battezzati su 3,5 milioni di abitanti: una piccola Chiesa, di periferia, espressione dell’attenzione a chi è più lontano e ai margini.
«Essere vescovo in Mongolia credo assomigli molto al ministero episcopale della Chiesa delle origini, è molto simile a quello che oggi è la missione in Mongolia», aveva detto don Marengo in un’intervista a Vatican News. «La Chiesa è una realtà molto piccola, è una minoranza, ma esiste questo gruppo di fedeli mongoli che ha scelto, con grande coraggio e anche senso di responsabilità, di seguire il Signore ed entrare a far parte della chiesa cattolica.»
La sua tesi di laurea aveva come titolo: “Sussurrare il Vangelo nella terra dell’eterno cielo blu”, espressione coniata dal salesiano indiano Thomas Menamparampil, arcivescovo emerito di Guwahati, che don Marengo definisce «un grande missionario, un grande uomo di Dio che, da uomo asiatico quale è, ha avuto questa intuizione creativa, descrivendo la missione come il sussurrare il Vangelo al cuore dell’Asia. Lui lo presentava per l’Asia in generale e io l’ho voluto applicare alla Mongolia. In sostanza, è molto concreto questo, è semplicemente un modo sintetico, un po’ allusivo per dire che la missione parte innanzitutto da un ascolto profondo del Signore che ci manda, dello Spirito che ci abita e ci plasma, e del popolo a cui si è inviati quindi concretamente delle persone con una loro storia, una loro cultura, con delle radici profonde”.
Nello stemma episcopale figurano i simboli eucaristici che richiamano la Mongolia e il motto scelto «Respicite ad eum et illuminamini» (Guardate a lui e sarete raggianti).
Simbolo di una Chiesa che, alimentata dalla dedizione di alcuni religiosi coraggiosi, in Mongolia si fa luce per illuminare e portare calore dove ce n’è più bisogno. Ed è lì che Mons. Giorgio Marengo farà a breve ritorno.